Note di regia:
Commedia in tre atti di Carlo Goldoni, una delle "sedici" scritte nel 1750.
Rosaura, figlia di Pantalone, è innamorata del Dottor Onesti e si finge malata per riceverne le visite.
Altri medici chiamati a consulto le diagnosticano le più strane e gravi malattie.
Un'amica di Rosaura, Beatrice, scopre il segreto della "malattia" di lei e si adopera in tutti i modi per far sì che le venga accordato il giusto " medicamento".
L'ostacolo principale alla riuscita del disegno è rappresentato dal Dottor Onesti che, pur avendo grande attaccamento e considerazione per lei, vorrebbe rifiutare la sua mano per timore che lo si accusi di averla nel visitarla sedotta.
In tal caso verrebbe messo in discussione il suo onore di uomo e di medico.
Tutto però si risolve grazie ai buoni uffici di Beatrice.
Si tratta di una feroce satira dei medici sprovveduti, mistificatori e avidi.
Ad essa si aggiunge la satira dei farmacisti, qui espressi da un personaggio assai comico, lo speziale Agapito.
La trama:
Lady Windermere sta per concedersi a lord Darlington che la corteggia, convinta che il marito, di cui è ancora innamorata, la tradisca con una certa signora Erlynne, donna misteriosa e affascinante.
In realtà Erlynne è la madre creduta morta della stessa lady Windermere, che l'abbandonò bambina per seguire un uomo di cui era innamorata.
Per risparmiare alla figlia il suo stesso errore, la convince a ritornare dal marito, senza rivelarle la sua vera identità.
Lord Windermere scopre in casa di Darlington il ventaglio della moglie.
La signora Erlynne salva di nuovo la situazione, compromettendo se stessa.
Restituita la felicità alla figlia, si allontana per sempre senza rivelare la propria identità.
Note di Regia:
Pigmalione è noto al vasto pubblico più per le sue trasposizioni cinematografiche e musicali che per le rappresentazioni teatrali. E la complessità di realizzazione (e produzione) dell'opera non giocano certo a suo vantaggio: almeno in alcune sue parti, il testo è, in effetti, più una sceneggiatura che un copione.
Le trasposizioni di cui si è detto, poi, vanno a sicuro detrimento della prosa: il cliché di "My Fair Lady" è indubbiamente uno scoglio cui si infrangono i flutti di una mise en scene che voglia restare fedele allo spirito originale dell'autore.
Contrariamente al dinamismo del musical citato, nel Pigmalione di Shaw l'ibsenismo si individua facilmente nella quasi totale assenza di azione scenica: tutto è delegato alla parola, all'intreccio psicologico (notevole), in cui la comicità della commedia è certamente funzionale ad una trasmissione più diretta della critica sociale che la permea, ma non è (e non lo vuole nemmeno essere) mero appiattimento dell'opera a quella patina di "cenerentola redenta" cui invece "My Fair Lady" sembra prestare il fianco.
Emancipazione femminile, barriere culturali che si elevano già a livello di espressione linguistica, anticonformismo: questi, fra i tanti, gli elementi che si colgono in Pigmalione ed è a questi che la nostra rappresentazione ha fatto più riferimento.
Fedeli allo spirito di Shaw, il finale del nostro lavoro è stato riportato al suo senso originale ed è da intendersi più come l'apertura di possibilità che come conclusione di una vicenda.
Ciò che può essere, ciò che sarà è in qualche modo già contenuto in ciò che è stato: nessuna vicenda può dirsi mai definitivamente conclusa e costringere una commedia entro la logica del "lieto fine" assume più un sapore di ipocrisia che di umanità.
Note di Regia:
"Una commedia frivola per gente seria". Così l'ebbe a definire il suo stesso autore, Oscar Wilde.
E' la vicenda che coinvolge Jack Worthing e Algernon Moncrieff in un'avventura di vicendevoli inganni per ottenere il già concesso amore delle loro fidanzate Miss Gwendolen Fairfax e Miss Cecily Cardew: un amore sbocciato solo per il nome che (non!) portano, quello di Onesto. Scoperti nella loro finzione (quella di non essere "Onesto"), solo un riconoscimento finale, che identificherà nel trovatello Worthing l'essere cugino dell'amata Gwendolen e fratello dello scapestrato amico Algernon, porterà il lieto fine delle sospirate unioni.
Una pièce dall'esile trama, dalla rosea soluzione, stravagante fino all'assurdo, il cui filo conduttore viene dipanato, attraverso i tre atti di cui si compone, mediante un dialogo vivacissimo, farcito di arguzie e paradossali cinismi: una satira garbata, sostanzialmente partecipe e compiaciuta, di una high-society londinese gaudente e libertina.
Nota in Italia con titoli come "L'importanza di essere Onesto" o "L'importanza di essere Franco", l'opera scherza sul gioco di parole contenuto nel titolo originale "The importance of being Earnest": una voluta ambiguità del termine usato "Earnest" (onesto, serio, franco, sincero, costante, affidabile) che in inglese suona come il nome "Ernest" (Ernesto).
"Che strana commedia! Non s'è sentito parlare d'altro che di tartine al cetriolo, panini al burro e ciambelline!" Laddove la menzogna è regola, dove la crudeltà si maschera da buonismo, dove la discriminazione si traveste da solidarietà, ogni scelta è possibile: anche quella di giocare con la stessa menzogna e irridere il vuoto da cui ci si sente circondati. È in questo senso che Wilde si fa beffe, nella commedia, dell'ipocrita seriosità del periodo tardo vittoriano e di quel mondo dell'aristocrazia e dell'alta borghesia londinese che egli stesso tanto frequentava ed amava. Un mondo, come rimprovera ironicamente Wilde, verso il quale "ostentano disprezzo solo coloro che non vi possono entrare".
La nostra messa in scena ripristina quelle situazioni teatrali che Wilde stralciò, in seconda stesura, per ridurre l'opera dai quattro atti originari ai tre dell'edizione del 1899.
La trama:
E' la classica commedia da 'filodrammatica' che gioca su una diffusa superstizione per creare le più disparate situazioni tragicomiche che non possono non far sorridere.
Una coppia sta organizzando la cena di Natale, quando si accorge che ci saranno 13 commensali seduti a tavola. Inizia un tortuoso peregrinare nella vana ricerca di lasciare qualcuno a casa o di aumentare il numero di invitati.
Colpo di scena, una vecchia fiamma spagnola del protagonista che semina scompiglio con vecchi rancori, gelosie e armi da fuoco.
La trama:
Rosaura è destinata, per decisione testamentaria paterna, a sposare il suo vecchio tutore Pancrazio, pena la perdita della doviziosa eredità: e l’amore, corrisposto, che ella nutre per Ottavio, figlio di Pancrazio, è altresì condannato dall’obbedienza e dall’interesse.
Ma l’intrigo ordito ai danni del tutore dagli immediati rivali all’eredità, lo zio Dottore (Balanzoni) e il cugino Florindo, vengono sventati da Trastullo, servitore saggio e fedele, che contribuirà in tal modo alla felice soluzione finale dello scioglimento del vincolo economico e matrimoniale a vantaggio della fortunata erede.
Fanno da contrappunto al sospirato innamoramento di Ottavio e Rosaura, le ardenti gelosie di Beatrice per il marito Lelio, nonché all’onesta scaltrezza del servitore onorato, le ingenuità grossolane del secondo zanni (Arlecchino) funzionali sia agli equivoci dell’intreccio che al mantenimento farsesco delle controscene.
Note di Regia:
Il 28 Maggio 1660, Molière presenta al pubblico il suo Sganarelle, ou Le cocu imaginaire (Sganarello, o il cornuto immaginario): un atto unico in poesia di 657 versi, che va in scena in una Parigi semideserta, accorsa in massa a Versailles per festeggiare le nozze di Luigi XIV.
Vero gioiello da punto di vista letterario, la commedia è la revisione di una vecchia farsa risalente ai tempi in cui il giovane Molière percorreva in lungo e in largo la provincia francese, in quel duro e sofferto periodo di tirocinio artistico che doveva infine condurlo verso gli allori della capitale e alla stima del Re Sole.
Tanti (troppi) sono i legami che l’opera mantiene con la Commedia dell’Arte per non metterli in evidenza: dalla situazione(una contrapposizione densa di equivoci e incidenti fra due innamorati, Sganarello e la propria moglie) ai personaggi (dal Magnifico agli Amorosi, dai Servitori al Dottore, allo stesso Sganarello, a mezzo fra uno Zanni e un Matamoro), che Molière rimescola in un sapiente e divertente calderone di lazzi, malintesi, imbrogli e
battute salaci.
La novità della nostra proposta, che tuttavia si mantiene estremamente fedele alla struttura del testo originario nonché all’intenzionalità dell’espressione linguistica di Molière, consiste nella trasposizione di intere parti della commedia, di poesia e di prosa, in lingua veneta.
Con la consapevolezza che ogni traduzione è al tempo stesso tradimento e tradizione, cambiamento e continuazione, mutazione e mantenimento, crediamo (forse con un po’ di presunzione) di aver riconsegnato in questo modo qualche battuta di quel Genio comico al Suo spirito più autentico, cercando di cogliere l’indole profonda del più grande farceur et
comedién francese: che non consisteva nell’elevazione aulica dello scrivere, ma in quella – molto più umana – del far ridere.
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